mercoledì 11 novembre 2015

Fotografie (che la terra vi sia lieve) -2-

Il giorno dopo il mio primo "disastro" ostetrico (il quale mi ha provocato la prima botta di timore di non essere all'altezza), la replica: solo che stavolta non e' stata colpa di nessuno. Un altro parto ostruito, e stavolta il battito cardiaco fetale l'avevamo sentito in tre. C'era, quindi si vola in Sala Operatoria sperando di poter fare qualcosa. Madre giovanissima anche questa, 20 anni, secondo figlio. Una ragazza stupenda, alta, sottile, lineamenti delicati due gambe affusolate lunghe un chilometro l'una, una massa di treccine piene di piccoli fiocchi: fossimo stati nel mondo occidentale, avrebbe potuto stare tranquillamente sulla copertina di una rivista di moda.Estrazione difficoltosa del feto...alla fine nasce. Una bimba, polimarformata, curvatura a S della spina dorsale, fissità della nuca in iperflessione, faccia appiattita, mani e piedi torti, labiopalatoschisi, brevità del collo, torace "a botte". Non ha pianto, emetteva uno strano verso come un lamento....la suora piu' anziana, Maria, ha lasciato il tavolo operatorio per venire a vederla. "secondo te cos'e'?". E che ne so? Potrebbe essere qualunque cosa, di sicuro una malformazione complessa scheletrica con coinvolgimento di quasi tutti i segmenti ossei, e probabilmente altro. Chissa' a livello cardiopolmonare e renale cosa c'era. L'unica cosa che mi venne in mente, al momento, era la Trisomia 18, che puo' causare malformazioni multiple, o la sindrome "du cri du chat" (un'anomalia genetica rara che come caratteristica piu' riconoscibile ha il pianto "lamentoso", simile al miagolio di un gattino, causato dall'ipoplasia delle cartilagini della laringe). Nessuno (tantomeno io) ha avuto il coraggio di dire nulla alla madre (io avevo la meravigliosa scusa che l'arabo non lo parlo...e per fortuna la madre non spiccicava una parola d'inglese). sono rimasta li' con quella cosa in mezzo ai telini che gemeva, la madre che fissava il vuoto, poi qualcuno mi ha detto di portare in reparto la bambina per pesarla e consegnarla ai parenti. Sono scappata molto  volentieri dalla Sala Operatoria, solo che fuori c'erano ad aspettarmi la madre della sfortunata neomamma, un altro paio di donne con bimbi piccoli (probabilmente zie, il fratellino, i cuginetti...), altri parenti o vicini...e tutti hanno cominciato a seguirmi per vedere la neonata. Non ho detto nulla, l'ho appoggiata sul tavolo, gliel'ho mostrata. Nessuna reazione. Le ho messo la pomata antibiotica sugli occhi, le ho dato la vitamina K (procedure usuali per tutti i neonati) mentre la famiglia continuava a guardare in silenzio. Qualcuno mi ha dato dei lenzuolini puliti e coloratissimi per avvolgere la neonata. Poi la nonna ha preso una copertina di cotone ed ha portato via la piccola. Tutto in silenzio. Poco dopo e' tornata la madre dalla Sala. L'abbiamo messa a letto, la bimba era nella cullina in fondo al letto, continuava ad emettere il suo strano verso. La stanza dove stanno le donne operate ha 5 letti, quel giorno c'erano altre 3 donne cesarizzate nei giorni precedenti. Con i loro bimbi e la solita masnada di parenti che non manca mai. Tutto molto chiassoso. Tranne l'angolo del letto 22, dove la madre continuava a fissare il vuoto, la nonna sedeva in silenzio, la neonata continuava a lamentarsi. Una scena assurda. Dopo un paio d'ore ho visto una coppia di donne portare via il fagotto con la copertina di cotone. Mi sono affacciata nella stanza: la madre continuava a fissare per aria, la nonna le era sempre seduta accanto, la cullina era vuota. Intorno la solita confusione festosa.E questo era il secondo giorno. Sempre meglio.

lunedì 9 novembre 2015

Fotografie (che la terra vi sia lieve) -1-

Una delle cose che temevo maggiormente, prima di arrivare qui, era la mia possibile reazione al contatto quotidiano con la morte.
Una premessa: lavoro in ospedale da quasi 30 anni, Ne ho vista di gente morta. Non tantissima, ho quasi sempre lavorato in ostetricia, e per fortuna (no, non per fortuna, per politica rispetto alla maternità ed avanzamento scientifico nell'assistenza materno-infantile) non e' un posto legato alla morte. Non in Toscana, dove i numeri relativi alla mortalità materno-infantile sono infimi.
Ma in Africa sono molto diversi. E non ero molto sicura di saper affrontare la quotidianita' della morte che da queste parti e' legata alla gravidanza ed al parto.
Il primo assaggio l'ho avuto subito il primo giorno in reparto: un taglio cesareo in madre primigravida, 19 anni. "Obstructed Labour", come chiamano qui tutti i parti che per qualunque motivo non vanno avanti. La diagnosi precisa non e' cosi' importante, che sia per bacino , malposizionamento della parte presentata, sproporzione feto-pelvica, distocia meccanica o dinamica, poco importa: la sostanza è che questi parti rimangono bloccati, e quindi si va in sala operatoria. Possibilmente quando il feto e' ancora vivo. Ora, l'unico modo per accertarsi che un feto sia ancora vivo e' di sentire il battito cardiaco fetale con un qualche strumento. Qui ci sono solo gli stetoscopi ostetrici, specie di trombette di legno che le ostetriche hanno usato per qualche secolo, e che io, proveniente dal fantasmagorico mondo degli ultrasuoni con tutto l'ambaradan di cardiotocografi ed ecografie, non ero proprio abituata ad usare. Mi sono messa d'impegno per sentire il battito fetale, quella mattina, e mi sembrava proprio di averlo sentito. Quindi era tutto pronto per un'eventuale rianimazione neonatale, sperando non ce ne fosse bisogno. Poi invece, aperto l'utero, appare un bel sacco amniotico ripieno di melma verde. Si rompe il sacco, ed ecco un gradevole effluvio di morte. Estrazione del feto, macerato, verdognolo, decisamente morto. Ci sono rimasta di sasso. "Credo che quello che avevi sentito era il battito materno", mi dice Marianna, una delle suore medico che lavorano qui: si, credo anche io, un battito materno accelerato, decisamente (come puo' succedere sotto contrazione), un errore da principianti, ma cosi' e' andata. Bene, si comincia male. 

giovedì 5 novembre 2015

Comunicare

Per piu' di un mese la rete Internet in questa citta' e' morta. C'e' un unico gestore, Zain SSD, che vende chiavette per computer. Due tipi, da 150 pound/mese (2 GB) o da 300 pound (4 GB). Quando andai a comprarla, avevo in tasca solo 170 SSP, quindi presi quella da 2GB. Me ne sono pentita amaramente, visto che, con le mie abitudini casalinghe, 2GB mi duravano si e no 5-8 giorni. Avevo in mente di prendere anche l'altra, ma non ho fatto in tempo: uno scontro militare nello stato vicino, i ripetitori danneggiati, e niente internet o telefono. Ed anche una cinquantina di morti, ma quelli fanno parte del folklore del Sud Sudan: ogni tanto un villaggio distrutto, un po' di gente ammazzata, le solite donne violentate, insomma, quotidianità africane di un paese in guerra.
Ma tutto questo a Wau, che rispetto alla guerra e' un'isola felice (e spero vivamente lo rimanga), non si vedeva. Non ne hanno parlato neanche i giornali, forse qualche trafiletto in giro, magari un flash d'agenzia sulla CNN o Al Jazeera....ma nulla piu'. Noi l'abbiamo saputo dalle mail di rapporto sicurezza che l'ambasciata italiana di Addis Abeba (competente anche per il Sud Sudan) manda periodicamente agli expat. La gente di qui sicuramente l'ha saputo col passaparola, i telefonini volano (dovro' scrivere un post a parte sul rapporto totalmente delirante degli africani coi telefonini...), qualche parente morto (ma tanto qui e' normale), nessuna agitazione, nessun movimento.
E con questo stiamo stati tagliati fuori.
Ok, forse dovrei scrivere un post pure sul mio rapporto personale (abbastanza delirante) con la rete, ma qui la cosa e' diversa....essere lontani da casa e non poter comunicare col resto del mondo, per me e tutti quelli nella mia situazione, e' abbastanza pesante da sopportare.
Per fortuna il mio telefono ha continuato a funzionare per tutto il periodo, solo qualche giorno di blocco, nulla di tremendo.
In questo periodo sono successe un bel po' di cose...
Ve le raccontero' con calma.
Un saluto